Pinocchio (2019)

Sotto Natale, Pinocchio. Una scelta commercialmente intelligente quella di riportare sul grande schermo l’ennesima rivisitazione del grande classico della letteratura italiana. Una storia scritta da Carlo Collodi (Lorenzini) che è stata dapprima compagna di letture per i più piccoli, poi si è trasformata col cinema, andando a raccontare agli occhi quelle parole fantastiche e quei messaggi di cui sembra esserci ancora bisogno di rimarcare l’importanza.

L’HAI MAI LETTO?
Questa volta credo di poter temere veramente poco lo spoiler, dato che si tratta di un racconto conosciuto in tutto il mondo, se non altro almeno come inizia e come finisce. Ma è davvero così? Prendiamo ad esempio la versione più minimalista di Pinocchio, quella colorata dalla Disney e tagliata allo stremo. Ecco, quel Pinocchio io non l’ho mai potuto sopportare. Ho avuto la fortuna di poter ascoltare tutto il racconto fin da piccola, con una collezione di 45 giri che sembrava infinita e che cambiavo continuamente nel mio giradischi portatile (praticamente quelli che ti sparavano in viso il disco e che potevi anche battere sul muro senza preoccuparti). Poi ci sono state “Le avventure di Pinocchio” di Comencini, una meravigliosa miniserie che andava ad analizzare minuziosamente tutta la storia. Insomma Comencini e i 45 giri sono arrivati prima della visione di Pinocchio della Disney e raccontavano una storia molto, molto più avvincente, pericolosa e struggente. Per fortuna ripeto. Purtroppo molti sono ancora convinti di conoscere davvero il burattino e la sua vita. “Dai parla di un burattino che poi diventa bambino”. Stiamo parlando di un romanzo che vanta più di cento pagine, suvvia anche per correttezza ve lo dico, perché io l’ho letto: non parla solo di un burattino.
Il film di Garrone è stata una bellissima sorpresa sotto questo punto di vista: ha fatto dei tagli narrativi che oggettivamente non poteva evitare, data la lunghezza del racconto, ma che non hanno tolto alcuna poesia, alcun significato alla storia. Tagli necessari che hanno lasciato spazio al copia-incolla di intere pagine del libro, dialoghi e immagini compresi.

UN FILM CHE NON è UN FILM
Come ho già detto questo Pinocchio è uno specchio del romanzo. Forse Comencini stesso se avesse potuto girarlo adesso l’avrebbe fatto esattamente così. Solo che non è un film, e questo sembra stonare a molti. Il fatto è che non c’è un momento topico, un punto di conversione, un giro di boa nella trama e un totale ribaltamento. Non c’è un finale che arriva dopo chissà quale scena.
Il film si muove in maniera molto lineare, abbracciando totalmente la storia senza trasformarla in qualcosa adattato per il pubblico del cinema ma anzi, ne ricalca le immagini dando fisicità alle parole. Qualcuno si sentirà sicuramente infastidito da questa scelta, perché non risponde alle regole della macchina da presa. Eppure, forse per la prima volta, ho visto un libro totalmente trasformato in un film e in certi casi credo che sia necessario avere il coraggio di una scelta simile, cioè quando si sta raccontando una storia che ha già tutto per essere perfetta da essere stata usata come ispirazione per più di cento anni.

PAROLE IN IMMAGINI
Il potere grande di questo film è il raccontare visivamente. Questa è una cosa che ovviamente fa parte del cinema, ma non è per niente facile raccontare per immagini qualcosa che si è ancorato nella fantasia di molti, soprattutto adulti, riuscendo a calzare come un guanto sulle aspettative. Io ho trovato pura poesia la fotografia di questo Pinocchio. Non saprei andare troppo sul dettaglio, ma posso cercare di abbozzare qualche commento. Un film quasi acquarellato, che sembra incorniciato in un’opera dei macchiaioli e quindi, da brava toscana che vuol vedere l’opera di un toscano, perfetto. La campagna, il fango, i vestiti, le case… tutto. Bellissimo, un dipinto ad olio dove anche Pinocchio è stato reso con un “realismo del fantastico” eccezionale: con i suoi scricchiolii, il rumore dei passi, le ammaccature e i graffietti di un burattino che ha davvero vissuto delle avventure, che ha camminato sotto il sole e sotto la pioggia. Le creature fantastiche, i burattini del teatro, il pescecane (no, non è una balena cari ragazzi), i capelli della Fata Turchina, le trasformazioni, i bambini. Tutto è veramente straordinario.

AL CENTRO IL RACCONTO
Per quanto riguarda il copione sono rimasta piacevolmente colpita.
Alcuni dialoghi saltano fuori direttamente dal libro, risvegliando la mia memoria sopita e rievocando addirittura le pagine del romanzo. Un copione che certamente si è scritto da solo, aggiustato come dicevo prima giusto per farlo rientrare un po’ nelle tempistiche del film, ma lasciando i profondi segni significativi del racconto, anche con parole molto dure. Alcune delle scene tagliate potevano forse essere presenti ma, senza fare spoiler, ritengo che certi avvenimenti è bene lasciarli alla fantasia, perché a un bambino puoi raccontare una storia e lui la filtrerà con la sua immaginazione, ma se metti un’immagine a quel racconto ecco che rischi di andare anche oltre le sue capacità di comprenderla e, non dico che lo traumatizzi, ma certo non potrai mai sapere se ti sei spinto troppo in là.

UNO SPETTACOLO PER GRANDI E PICCINI
Pinocchio parla ai bambini, agli adulti e anche agli anziani. Questo film non fa alcuna eccezione, anzi. Il consiglio per tutti è di vederlo, perché vale davvero la pena. Se avete letto il libro l’amerete, se ancora non l’avete fatto vi verrà voglia di leggerlo. Le avventure del burattino di legno ci fanno sempre sorridere, sembrano parlare a una società lontana, antica e distante. Ciò che le rende straordinarie invece è che parlano di ogni tipo di uomo che abbiamo incontrato e incontreremo, parla di ogni volta che non ci sentiamo adeguati, parla delle nostre debolezze umane, dei nostri continui tentativi di rivalsa, del nostro camminare costantemente cercando noi stessi.
E questa è la storia degli uomini di tutte le epoche.

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Parasite

Preferisco aspettare qualche giorno prima di parlare di un film, più che altro per sedimentare il tutto e lasciare a galla le cose più importanti che riescono a rimanere ancorate nella memoria.

Il giorno dopo l’uscita non mi sono fatta mancare l’occasione e, in una sala completamente vuota (altro che “one ticket please”) ho visto finalmente Parasite, il film del versatile Bong Joon Ho che si è guadagnato la Palma D’Oro al Festival di Cannes.
Volutamente, come al solito, avevo cercato di andare in sala più spinta dai commenti “neutri” sulla pellicola e dai continui “guardatelo!” che leggevo sui social, evitandomi spoiler di trama che andassero oltre il trailer.
Cercherò quindi di fare altrettanto, quindi niente paura non ci saranno spoiler.

Prima cosa che posso dire su questo film: guardatelo. Sarà la fortuna del principiante ma al secondo film che vedo e di cui scrivo qualcosa su questo blog posso solo ritenermi davvero una persona molto fortunata ad aver visto un’altra grande pellicola a meno di un mese di distanza.

Tutto il mondo è paese
Questo film riesce perfettamente a farti dimenticare che stai guardando una pellicola coreana e non inteso in maniera cattiva, ma se si pensa al cinema più lontano a quell’idea occidentale che abbiamo delle sequenze, dei dialoghi e delle trame, spesso la prima paura è quella di non sentirsi vicini alla storia. Invece con Parasite stiamo parlando davvero la stessa lingua in ogni cosa. Si potrebbe dire che a facilitare il discorso è il fatto che il regista ha lavorato molto su altre pellicole americane, ma in realtà quello che traspare comunque dal film stesso è che non si sta parlando di qualcosa che viene forzato nella cultura della Corea del Sud, perché (fortuna o sfortuna) le tematiche che affronta il film sono presenti in ogni paese del mondo. Mi sono sentita totalmente immersa nelle storie dei personaggi e non ho faticato assolutamente a comprendere anche piccole sfumature magari lontane dalla mia quotidianità. I dialoghi sono perfetti: hanno un ritmo molto semplice, frazionati a volte da alcuni piccoli momenti di silenzio che calzano a pennello col bisogno di riflessione dello spettatore. La regia è quasi folle, con una sceneggiatura che si fa fatica a inquadrare in un genere perché tutto il film regge su commedia, dramma, thriller intercambiando e sfumando queste categorie quasi a volerle distruggere.

Parassita
Il titolo è semplice e già il trailer ci dà un assaggio, seppur molto calcolato, su ciò che è il film. La famiglia Kim vive nel piccolissimo seminterrato di un palazzo. Padre, madre e due figli, tutti senza lavoro. Scroccano lo scroccabile, vivono quasi alla giornata e addirittura approfittano di una disinfestazione di strada per farsi disinfestare la “casa” stessa lasciando le finestrelle aperte così da far morire le cimici che li tormentano, poco importa se anche loro ci rimettono in salute. Un quadro abbastanza chiaro, che già dal titolo sembra parlare essenzialmente di questi quattro disgraziati e qui la parte comica in realtà diventa la chiave di tutto, perché nella loro semplicità le difficoltà vengono spesso quasi sminuite da una sottile ironia sulla loro vita e sul concetto anche un po’ scaramantico di fortuna.

Homo faber fortunae suae
Diventa subito chiaro il motto della famiglia Kim, che non è essenzialmente quello di fregare gli altri, ma quello di cogliere immediatamente ogni occasione possibile per migliorare la loro posizione. Così (tranquilli, sto ancora attraversando un’analisi del trailer) Ki-woo (Woo-sik Choi), il figlio più piccolo della famiglia, decide di cogliere al balzo la proposta di un amico universitario che insegna privatamente inglese alla figlia di una ricca famiglia e che, dovendo egli partire per l’estero, gli chiede di sostituirlo. Ki-woo non ha un diploma, ma le conoscenze dell’inglese sono ottime ed è capacissimo di occuparsi di un simile incarico. Per i documenti ci pensa la sorella maggiore Ki-jung (So-dam Park) falsificando un attestato con Photoshop. Una piccola bugia che potrebbe però migliorare la situazione di tutta la famiglia. Come dicevo prima, di base non è un gioco al fregare i ricchi. La famiglia Kim vuole davvero lavorare, guadagnare e migliorare la propria posizione e riuscire ad uscire da quello scantinato decrepito.

Siamo sinceri
Il concetto, soprattutto per l’idea che abbiamo noi italiani, mi ha fatto riflettere sul fatto che non riusciamo a condannare un’azione come questa: falsificare un documento per delle ripetizioni. Chi sono io per giudicare? Oggettivamente il ragazzo è bravissimo con l’inglese… non sta prendendo una cattedra in una prestigiosa università, fa solo le ripetizioni a una ragazzina ricca. Ed è qui che il film, partendo appunto da un modo leggero di presentarci i Kim, ci fa subito quasi tifare per questa piccola rivalsa e ci fa sperare che il loro piano possa andare in porto. Qualche soldo in più e già si mangia. Solo che il film è così corretto nei nostri confronti da farci già capire che, come esseri umani, semplicemente non basterà. Se si può avere di più perché non provarci?

Guarda caso
Cercherò ormai di non affondare troppo nella trama del film proprio perché penso che sia necessario semplicemente vederlo per cogliere le varie questioni e sfumature. Però è già chiaro: prima Ki-woo, poi la sorella… insomma se c’è spazio per tutti in questa grande e ricca famiglia dei Park e si può fare qualcosa, perché dico ancora… perché non provarci? Quindi una sequela di raccomandazioni di una tizia che conosce un tizio che conosce un altro tizio… insomma ci siamo capiti.

I ricchi sono buoni perché sono ricchi
Sembra quasi di tornare a parlare di Joker, almeno ovviamente sulla dinamica sociale della disparità tra chi vive nei bassifondi e chi invece ha addirittura una intera collina su cui adagiare la sua casa di design. La solita immagine di due mondi che si guardano da lontano e non entrano mai in contatto, come osservatori da una parte distratti dalla loro quasi noiosa quotidianità e dall’altra trasognati di fronte a tante possibilità.
I ricchi ci vengono presentati dal punto di vista dei Kim: stupidi, creduloni e… ricchi, quindi gentili perché hanno i soldi e non stanno a contarli. E’ un’immagine forte questa, perché il film non cerca di darti una idea più aperta, più oggettiva, ma proprio vista dal basso di questa categoria sociale. Davvero chi è più ricco tende per natura ad essere più gentile? Ovviamente subito ho pensato “no assolutamente, la gentilezza non è qualcosa che si misura con il denaro, i regali etc.” ma riflettendo un attimo mi rendo conto di quanto invece è proprio il paradosso della società moderna: la critica sociale forte che traspare è come, nonostante le buone intenzioni di lavorare sodo per guadagnarsi il pane, gli stessi Kim sostengono di non essere delle brave persone perché lotteranno sempre per arrivare primi, per non farsi strappare nessuna possibilità dagli altri.
I nostri protagonisti lo sanno e lo sostengono con forza: chi ha i soldi può permettersi di perderli, loro invece non possono permettersi di sbagliare, di farsi soffiare un’occasione di agiatezza qualunque e faranno di tutto per sopravvivere.

Guardatelo
Non posso e non voglio dire molto altro su questo film, tranne che guardatelo. E’ una pellicola che corre veloce, inaspettata e straordinaria. Un cupo dramma travestito da commedia e viceversa, un susseguirsi di situazioni paradossali e classici prevedibili. Vi farà amare e odiare ognuno dei suoi personaggi, e un po’ anche voi stessi. Parasite apre velocemente le porte della narrazione e immerge lo spettatore dentro se stesso e dentro gli altri in un’altra pellicola necessaria per tutti in questo 2019.