Parasite

Preferisco aspettare qualche giorno prima di parlare di un film, più che altro per sedimentare il tutto e lasciare a galla le cose più importanti che riescono a rimanere ancorate nella memoria.

Il giorno dopo l’uscita non mi sono fatta mancare l’occasione e, in una sala completamente vuota (altro che “one ticket please”) ho visto finalmente Parasite, il film del versatile Bong Joon Ho che si è guadagnato la Palma D’Oro al Festival di Cannes.
Volutamente, come al solito, avevo cercato di andare in sala più spinta dai commenti “neutri” sulla pellicola e dai continui “guardatelo!” che leggevo sui social, evitandomi spoiler di trama che andassero oltre il trailer.
Cercherò quindi di fare altrettanto, quindi niente paura non ci saranno spoiler.

Prima cosa che posso dire su questo film: guardatelo. Sarà la fortuna del principiante ma al secondo film che vedo e di cui scrivo qualcosa su questo blog posso solo ritenermi davvero una persona molto fortunata ad aver visto un’altra grande pellicola a meno di un mese di distanza.

Tutto il mondo è paese
Questo film riesce perfettamente a farti dimenticare che stai guardando una pellicola coreana e non inteso in maniera cattiva, ma se si pensa al cinema più lontano a quell’idea occidentale che abbiamo delle sequenze, dei dialoghi e delle trame, spesso la prima paura è quella di non sentirsi vicini alla storia. Invece con Parasite stiamo parlando davvero la stessa lingua in ogni cosa. Si potrebbe dire che a facilitare il discorso è il fatto che il regista ha lavorato molto su altre pellicole americane, ma in realtà quello che traspare comunque dal film stesso è che non si sta parlando di qualcosa che viene forzato nella cultura della Corea del Sud, perché (fortuna o sfortuna) le tematiche che affronta il film sono presenti in ogni paese del mondo. Mi sono sentita totalmente immersa nelle storie dei personaggi e non ho faticato assolutamente a comprendere anche piccole sfumature magari lontane dalla mia quotidianità. I dialoghi sono perfetti: hanno un ritmo molto semplice, frazionati a volte da alcuni piccoli momenti di silenzio che calzano a pennello col bisogno di riflessione dello spettatore. La regia è quasi folle, con una sceneggiatura che si fa fatica a inquadrare in un genere perché tutto il film regge su commedia, dramma, thriller intercambiando e sfumando queste categorie quasi a volerle distruggere.

Parassita
Il titolo è semplice e già il trailer ci dà un assaggio, seppur molto calcolato, su ciò che è il film. La famiglia Kim vive nel piccolissimo seminterrato di un palazzo. Padre, madre e due figli, tutti senza lavoro. Scroccano lo scroccabile, vivono quasi alla giornata e addirittura approfittano di una disinfestazione di strada per farsi disinfestare la “casa” stessa lasciando le finestrelle aperte così da far morire le cimici che li tormentano, poco importa se anche loro ci rimettono in salute. Un quadro abbastanza chiaro, che già dal titolo sembra parlare essenzialmente di questi quattro disgraziati e qui la parte comica in realtà diventa la chiave di tutto, perché nella loro semplicità le difficoltà vengono spesso quasi sminuite da una sottile ironia sulla loro vita e sul concetto anche un po’ scaramantico di fortuna.

Homo faber fortunae suae
Diventa subito chiaro il motto della famiglia Kim, che non è essenzialmente quello di fregare gli altri, ma quello di cogliere immediatamente ogni occasione possibile per migliorare la loro posizione. Così (tranquilli, sto ancora attraversando un’analisi del trailer) Ki-woo (Woo-sik Choi), il figlio più piccolo della famiglia, decide di cogliere al balzo la proposta di un amico universitario che insegna privatamente inglese alla figlia di una ricca famiglia e che, dovendo egli partire per l’estero, gli chiede di sostituirlo. Ki-woo non ha un diploma, ma le conoscenze dell’inglese sono ottime ed è capacissimo di occuparsi di un simile incarico. Per i documenti ci pensa la sorella maggiore Ki-jung (So-dam Park) falsificando un attestato con Photoshop. Una piccola bugia che potrebbe però migliorare la situazione di tutta la famiglia. Come dicevo prima, di base non è un gioco al fregare i ricchi. La famiglia Kim vuole davvero lavorare, guadagnare e migliorare la propria posizione e riuscire ad uscire da quello scantinato decrepito.

Siamo sinceri
Il concetto, soprattutto per l’idea che abbiamo noi italiani, mi ha fatto riflettere sul fatto che non riusciamo a condannare un’azione come questa: falsificare un documento per delle ripetizioni. Chi sono io per giudicare? Oggettivamente il ragazzo è bravissimo con l’inglese… non sta prendendo una cattedra in una prestigiosa università, fa solo le ripetizioni a una ragazzina ricca. Ed è qui che il film, partendo appunto da un modo leggero di presentarci i Kim, ci fa subito quasi tifare per questa piccola rivalsa e ci fa sperare che il loro piano possa andare in porto. Qualche soldo in più e già si mangia. Solo che il film è così corretto nei nostri confronti da farci già capire che, come esseri umani, semplicemente non basterà. Se si può avere di più perché non provarci?

Guarda caso
Cercherò ormai di non affondare troppo nella trama del film proprio perché penso che sia necessario semplicemente vederlo per cogliere le varie questioni e sfumature. Però è già chiaro: prima Ki-woo, poi la sorella… insomma se c’è spazio per tutti in questa grande e ricca famiglia dei Park e si può fare qualcosa, perché dico ancora… perché non provarci? Quindi una sequela di raccomandazioni di una tizia che conosce un tizio che conosce un altro tizio… insomma ci siamo capiti.

I ricchi sono buoni perché sono ricchi
Sembra quasi di tornare a parlare di Joker, almeno ovviamente sulla dinamica sociale della disparità tra chi vive nei bassifondi e chi invece ha addirittura una intera collina su cui adagiare la sua casa di design. La solita immagine di due mondi che si guardano da lontano e non entrano mai in contatto, come osservatori da una parte distratti dalla loro quasi noiosa quotidianità e dall’altra trasognati di fronte a tante possibilità.
I ricchi ci vengono presentati dal punto di vista dei Kim: stupidi, creduloni e… ricchi, quindi gentili perché hanno i soldi e non stanno a contarli. E’ un’immagine forte questa, perché il film non cerca di darti una idea più aperta, più oggettiva, ma proprio vista dal basso di questa categoria sociale. Davvero chi è più ricco tende per natura ad essere più gentile? Ovviamente subito ho pensato “no assolutamente, la gentilezza non è qualcosa che si misura con il denaro, i regali etc.” ma riflettendo un attimo mi rendo conto di quanto invece è proprio il paradosso della società moderna: la critica sociale forte che traspare è come, nonostante le buone intenzioni di lavorare sodo per guadagnarsi il pane, gli stessi Kim sostengono di non essere delle brave persone perché lotteranno sempre per arrivare primi, per non farsi strappare nessuna possibilità dagli altri.
I nostri protagonisti lo sanno e lo sostengono con forza: chi ha i soldi può permettersi di perderli, loro invece non possono permettersi di sbagliare, di farsi soffiare un’occasione di agiatezza qualunque e faranno di tutto per sopravvivere.

Guardatelo
Non posso e non voglio dire molto altro su questo film, tranne che guardatelo. E’ una pellicola che corre veloce, inaspettata e straordinaria. Un cupo dramma travestito da commedia e viceversa, un susseguirsi di situazioni paradossali e classici prevedibili. Vi farà amare e odiare ognuno dei suoi personaggi, e un po’ anche voi stessi. Parasite apre velocemente le porte della narrazione e immerge lo spettatore dentro se stesso e dentro gli altri in un’altra pellicola necessaria per tutti in questo 2019.

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